giovedì 25 maggio 2017

LA NASCITA DEL LINGUAGGIO

LE TEORIE SULLA NASCITA DEL LINGUAGGIO.

Per spiegare l'origine e lo sviluppo del linguaggio, sono state proposte molte teorie.

Burrhus Skinner (1904-1990) sostiene che il linguaggio viene appreso dal condizionamento operante, ossia una serie di stimoli,  reazioni e rinforzi che mantengono attivo un certo comportamento.
I bambini pronunciano spontaneamente o per imitazione. 
Il bambino, quindi, oltre ad apprendere le risposte verbali, impara anche le situazioni adatte a ciascuna risposta: l'apprendimento del linguaggio è dunque legato alla socializzazione. 

La teoria di Skinner sembra considerare il bambino come un organismo vuoto che reagisce passivamente all'ambiente. Chompsky (1928) sottolinea che da soli non bastano: bisogna ipotizzare che il bambino abbia in sé la capacità innata di comprendere la lingua madre e di riprodurla in modo corretto. 

Secondo Jean Piaget (1896-1980) il bambino impara a parlare nella fase del cosiddetto "egocentrismo infantile" durante la quale è centrato su se stesso e non sa interagire con gli altri suoi coetanei. 
Il bambino non parla con gli altri bambini, ma a se stesso, per organizzare il proprio pensiero e le proprie azioni. Solo in seguito comincierá a comunicare. 
Piaget parla di questo monologo ( quando il bimbo parla da solo) e di monologo collettivo (quando in un gruppo di bambini e ognuno parla con se e non con gli altri.) 

E secondo Lev Vygotslij il percorso è opposto: dapprima sorge il linguaggio comunicativo, come funzione interpsichica che mette in relazione le persone ( quando il bambino comunica con l'adulto) poi si sviluppa il linguaggio interiore o egocentrico come funzione intrapsichica che permette di regolare dall'interno i processi cognitivi è il proprio comportamento. Secondo la sua teoria la condizione necessaria per lo sviluppo del linguaggio è l'interazione dell'individuo con l'ambiente sociale.



IL LINGUAGGIO VERBALE

LINGUAGGIO VERBALE.

Il linguaggio umano è in continua  evoluzione.
Il linguaggio può riferirsi a oggetti astratti e assenti a differenza del linguaggio animale ad esempio:  un cane abbaia in presenza di un pericolo che succede in quel momento, invece gli uomini possono parlare anche di un pericolo futuro o di un' esperienza pericolosa che risale ad anni prima. 
Questo è possibile grazie alla capacità di astrazione, in base alla quale gli uomini fanno uso di simboli e concetti. 
Le parole sono combinate da più suoni.
I suoni elementari, chiamati fonemi, che sono le singole vocali e le singole consonanti. 
I primi raggruppamenti di fonemi, da due a sei, costiuiscono i morfemi e sono distinti in radici (con- è la radice di cor-sa), i prefissi (anti- di anticamera) e i suffissi ( come -ta in semplici-tá).
Le parole sono fonemi, raggruppati e le frasi riuniscono più parole in unità superiori dotate di significato e tante frasi costituiscono un discorso. 

giovedì 18 maggio 2017

la comunicazione

LA COMUNICAZIONE.

La comunicazione è uno scambio di messaggi.
Noi umani comunichiamo in qualsiasi modo, attraverso la voce, i gesti, la postura del corpo, i movimenti ecc...
La parola "comunicare" deriva dal latino (communico) che significa "mettere in ordine" ossia condividere emozioni esperienze ecc...
Comunicare è un' esigenza quotidiana per tutti noi, possiamo comunicare anche con i suoni, espressioni, immagini, colori e odori.
Roman Jakobson ha elaborato il modello che riguarda, in particolare, la comunicazione verbale.
Un mittente, colui che invia le informazioni, trasmette un messaggio a un destinatario o un ricevente utilizzando un codice.
Il ricevente lo decodifica e il mittente o il destinatario sfruttano il canale (mezzo fisico che trasporta le informazioni).
Il messaggio riguarda sempre un determinato oggetto cioè il riferente e viene rivolto all'interno di una certa situazione comunicativa, che ne costituisce il contesto.


domenica 26 marzo 2017

Psicologia nella rete

INTERNET E LA MEMORIA

Uno studio di alcuni ricercatori di un'università di New York guidato da Betsy Sparrow ha indagato il rapporto tra la memoria (individuale e collettiva) e le tecnologie digitali , questo studio mostra la riduzione dell'utilizzo della memoria umane e in crescenza l'so della tecnologia.
il web si starebbe trasformando in una memoria esterna che ci aiuta a ricordare e recuperare qualsiasi informazione.
Noi tendiamo a delegare a una memoria esterna le informazioni che sappiamo di poter trovare con una ricerca su internet, trasferendo gli sforzi di memorizzazione più all'atto della ricerca che sui contenuti.
Un gruppo di ragazzi hanno fatto dei quiz su cui dopo sarebbero stati interrogati, una metà poteva salvare delle informazione sul computer e l'altra no.
All'esame orale chi ha salvato i dati ha ottenuto risultati scadenti a differenza degli altri che hanno stimolato la mente e hanno potuto fornire subito le risposte corrette.
Questi test hanno spinto a parlare dello sviluppo della "mente transattiva", un concetto introdotto dal psicologo Daniel Wegner.
Secondo lui si può parlare di memoria transattiva quando la memorizzazione di alcune informazioni è delegata a persone che ci sono accanto e che si sono dimostrate più abili di noi a ricordare.
Sparrow suggerisce di usare il concetto di "memoria transattiva" per definire il rapporto che si sta sviluppando nei confronti della rete: il world wide web si sta trasformando in un articolato sistema transattivo che si esime dall'obbligo di memorizzare certe informazioni disponibili in rete.
Molti affermano che ci stiamo istupidendo (parola presa da Nicholas Carr della rivista "Is Google Making Us Stupid?) ma il vero problema più grosso sembra essere il rischio di un'amnesia collettiva.
Infatti i supporti digitali hanno una durato limitata, i link su internet vengono modificati in continuazione, alcuni rimangono a lungo altri vengono dimenticati e spariscono nel nulla.
La virtualità di internet, come la mancanza di un' elemento "reale" e recuperabile a cui ancorare la memoria (foto, diario ecc..) rende un problema la rete in un deposito di memoria.

Ogni giorno possiamo modificare i nostri profili, aggiungere o cancellare foto, modificare le pagine di Wikipedia, scrivere un blog, ma dopo qualche tempo probabilmente tutto verrà dimenticato e sostituito con altri e nuovi argomenti.

giovedì 16 marzo 2017

film: stella

STELLA.

Questo film racconta di una ragazzina di nome stella che ha 11 anni e che frequenta le scuole medie.
Vive a Parigi in un bar con i suoi genitori che non danno molta attenzione alla ragazzina.
A scuola ha dei voti pessimi e non va bene e rischia la bocciatura, perché frequenta i clienti del bar invece che studiare.
Appena entra nell'istituto si sente da sola e viene presa a pugni nell'occhio dopo un' po' di tempo fa amicizia solamente con una ragazza di nome Gladys, che al contrario di Stella va bene a scuola. Le due ragazze diventano amiche e Stella inizia a prendere buoni voti.
Alla fine della scuola stella viene promossa e tutte e due sono felici.
Il film finisce che le due ragazzine giocano insieme e sono molto amiche.

Stella: è un film autobiografico del 2008 diretto da Sylvie Verheyde.
Durata: 1 ora e 39 min
Lingua: Francese

sabato 11 febbraio 2017

neuroni specchio


Esiste un tipo d neuroni che ci aiuta ad apprendere.
Ci permette di "copiare" quello che fanno gli altri.
Si attivano quando compiamo un gesto o quando quel gesto è compiuto da qualcun altro.
Si tratta dei neuroni specchio, scoperti negli anni novanta da Giacomo Rizzolatti.

Gli ha scoperti, studiando un gruppo di Macachi, la ricerca si è estesa anche sugli esseri umani.
I neuroni forniscono una spiegazione della nostra capacità di relazionarsi con gli altri.
Ad esempio, quando noi guardiamo una persona bere del caffè, nel nostro cervello si attivano i neuroni e quando noi beviamo del caffè, abbiamo capito che cosa stesse facendo quella persona.
Anche l'apprendimento del linguaggio e il riconoscimento delle emozioni si basa sull'attività dei neuroni specchio.
Secondo degli studiosi, il ridotto funzionamento spiega alcune forme di autismo.
L'autismo è un disturbo dello sviluppo che causa ridotte interazioni e scarsa capacità di comunicazioni.
Se i neuroni non funzionassero bene non permetterebbe agli autistici di capire che cosa fanno o che cosa provano le persone attorno a loro.

Perchè vediamo il mondo a colori?


Se un occhio rispondesse solo all'intensità della luce, il mondo apparirebbe in bianco e nero (monocromatico.) 
I mammiferi, ad esempio, hanno la visione dicromatica. 

Alla coppia -bianco e nero- si aggiunge la coppia -giallo e blu-.
Un cane vede tutto quello che è blu, come noi, ma quello che per noi è giallo o verde o rosso lo vedono in gradazione di giallo. 

Noi abbiamo la visione ticromatica cioè la capacità di distinguere rosso e verde oltre al bianco e nero e giallo e blu.
Per oltre cent'anni nei primati si è pensato che la visione ticromatica fosse stata guidata dalla necessità di vedere le bacche e i frutti rossi contro lo sfondo verde. Però hanno scoperto che questi frutti sono visibili pure con la visione dicromatica. L'unico cibo che è visibile senza la visione ticromatica sono le foglie nuove. 
Nella giungla africana le foglie sono rosse e non verdi. 
Insomma, noi vediamo a colori perché in una mondo colorato è più facile trovare da mangiare che in una mondo tutto in bianco e nero.